Ostaggi della performance. La Fura dels Baus in Second Life

Incontro nello spazio di Style Magazine di Second Life con Alex Ollè de la Fura dels Baus. Il tema: gli ultimi lavori della compagnia e in particolare Imperium e Boris Godunov in scena in Italia in questi giorni.

Da quello che ho potuto sentire – poco per cui sono andata a rileggermi qualcosa – mi pare di capire che: 1. Imperium è la rappresentazione metaforica dell’imperialismo in stile vecchia fura, quindi coinvolgimento del pubblico, forza dionisiaca e violenta (si vede nel video), dove è la dimensione dal vivo ad essere particolarmente efficace (nel senso della performance); 2. Boris Godunov lavora sulla messa a punto dello stile teatrale della compagnia che personalmente preferisco. Il tema: l’attentato al Teatro Dubrovka di Mosca del 2002, tentativo riflessivo – come ben esplicitato nell’intervista – per far pensare allo spettatore-ostaggio nella logica (mediale) del docu-dramma.

Mi torna in mente Benjamin sul teatro epico, e antiartistotelico, di Brecht.

Mi sarebbe piaciuto: aspettare un po’ di meno, un’intervista meno serrata con la possibilità per gli astanti di fare qualche domanda. Occasioni come queste – strettamente connesse alla logica partecipativa di Second Life – dovrebbero garantirlo secondo me. Sono comunque contenta di esserci stata e apprezzo il lavoro di chi l’ha pensato e realizzato. Ne vale sempre la pena.

Favole malvagie

Come avrebbe fatto Nathalie Djurberg – alla Fondazione Prada fino all’1 giugno – a dare corpo (di stoffe e plastiline animate in stop motion) a quell’immaginario onirico e ossessivo se non avesse sentito le favole, avuto paura e vissuto al contempo fumetti, video, cartoni e animazioni delle pubblicità?

Gli archetipi della figura femminile – rappresentati dalle metafore degli organi genitali femminili la caverna, la casa – si riflettono in diverse rappresentazioni del meccanismo vittima-carnefice in un gioco visivo e perciò immaginifico di altissimo livello, grazie anche alla colonna sonora dei video.

Il tutto nella logica performativa di una esposizione site-specific con l’imponente scultura di pezza e la caverna-patata costruite apposta per lo spazio espositivo.

Lezioni in TV. Verso una X factor generation?

Che i prodotti televisivi rientrino a pieno titolo nel raggio di azione della performance culturale credo non abbia bisogno di essere ribadito. Così come il fatto che nonostante tutto anche da lì ci possano arrivare pillole di saggezza.

Oggi per caso ho fatto caso all’anticipazione di una intervista a Vasco Rossi dove dice un paio di cose da tenere a mente – a partire dalla sua musica che a me non piace – ma che risolvono il senso della musica stessa. Sarà che siamo nel pieno della ricerca su media e generazioni e la cosa mi intriga.

Le canzoni, dice più o meno, possono essere ballate struggenti o pezzi più forti, ritmati – nomina, non senza eleganza, i Rolling Stones, che a me non piacciono e due brani che invece mi piacciono Angie e (I can’t get no) satisfaction (questa fantastica per sempre) – ma comunque sia la loro funzione è quella di essere “un luogo” (della comunicazione aggiungerei) in cui riflettere (e osservare) le nostre nevrosi.

Magari sbaglio ma mi sembra un ragionamento in linea con diverse delle cose – delle pillole di saggezza – che dispensa Morgan in X factor, a mio parere rispettivamente il programma televisivo e il personaggio dell’anno. Il senso della musica come conoscenza, oltre che passione, come ricerca profonda nella cultura.

Un passaggio in cui smitizza lo slogan dell'”essere se stessi” a favore di un “annoiarsi di se stessi” lo trovo geniale.

E poi c’è Gaudi. Amico di adolescenza a Bologna che adesso so dove si trova e cosa fa. Con grande piacere.

Cuore e neo-corteccia. Casi di teatro contemporaneo

Il teatro è quello che è. Performance riflessiva strutturata nel disaccoppiamento vissuto/rappresentazione. Questa resta la forza del “medium” secondo me, il suo bello. Allora in Italia ci sono casi importanti per estetiche e poetiche.

Domenica ho visto con Sandra, Hey Girl della Sociétas Raffaello Sanzio, al Comandini di Cesena. Al ritorno si ragionava sulla capacità di lavorare su evocazioni, citazioni, immaginari che in qualche modo stimolano il ragionamento, la volontà di capire come sfida cognitiva. A me sembrava il caso di Hey Girl, diverso da altri lavori della Raffaello, potente come sempre dal punto di vista estetico (con Sandra si pensava a Bock e Vincenzi ad esempio per il primo bellissimo quadro, qui nella foto e qui) e distaccato. Buono per pensare. Come deve essere l’arte poi.

Tutto diverso da Il festino, di Emma Dante. Visto al Sanzio di Urbino. Non che siano paragonabili i due casi solo che qui l’impatto estetico – in senso lato – si integra in modo forte alla rappresentazione e alle corde dei vissuti, al peso della parola narrata. Altro modo per lavorare sulla riflessività. Per la terza volta in vita mia ho pianto a teatro.

Conversazioni come performance. CdB 2008 per me

Non se ne avrà male, spero, cioccolatino al cognac se uso un paio delle sue belle foto per un piccolo post su Conversazioni dal Basso 2008. Anche perché fra i concetti evocati non è certo mancato quello dell’UGC. L’occasione è servita, secondo me, a sistematizzare temi del dibattito sul web 2.0 in relazione alla politica, ma non solo. A capire meglio certe posizioni. A fare ordine insomma. Mi resta negli appunti, fra le altre cose (e rimando ai post più mirati del mio ai contenuti emersi) uno slogan di Massimo Russo che richiama “il coraggio di essere pop”. Io provo a seguirlo pensando a Conversazioni dal Basso nei termini della performance.

Occasione che genera l’evento comunicativo, esecutori e pubblico, inizio e fine ma con una componente partecipativa e relazionale fortissima (e qui oltre “ai soliti” il ruolo dei ragazzi – vedere qui – l’ho trovato veramente centrale in tutte le fasi, anche qui), garantita anche dallo streaming (per rendere presenti gli assenti), da twitter, dalle foto pubblicate, dai manifesti, dalle magliette e dalle cartoline per le domande fino alle chat, ma anche dal convivio: apertivi, cene, il fantomatico buffet, ecc. C’è poi la dimensione riflessiva che si trova nei temi – prima di tutto nel modo in cui attraverso questo evento si è parlato della società e di noi su diversi versanti – e nella ricorsività della comunicazione su questo stesso evento (dai video, ai servizi tv, alle rassegne stampa, ai post). E anche un po’ di spettacolo che non guasta. 

E poi, per me, resteranno per sempre i vari, e quello con Gianky in particolare, “qualcuno meets qualcuno”. (Qui, qui, qui, qui).  Non me ne vorrà Elena/Velas  (questa volta) se prendo in prestito la sua definizione.

Immagini (e immaginario) del Materacamp2008

 

Patchwork di Fabio Fornasari

Che esperienza il Materacamp… Dal luogo alla dimensione social, dall’ospitalità meravigliosa (e qui non posso non spendere una parola almeno per Clarita, Gianfranco, Catepol) alla qualità degli interventi, dagli amici ritrovati di SecondLife alle nuove conoscenze. Il senso è quello che emerge da twitter e dai post. Immagini e immaginario dalla profusione di foto. Sono già più di 1000 su Flickr.

Qui mi viene da pensare alla revisione del rapporto fra pubblico e privato che comincia a connotare, ad esempio, molti dei convegni a cui partecipiamo e anche a come l’immagine pubblica di sè, che gira, e che fa piacere che ci sia perchè ci fa sentire parte di una “comunità” (?), si scontri con un’idea privata di sè, o con un’immagine estetico/pubblica che si vorrebbe un po’ salvaguardare. In alcune io sono veramente un mostricciattolo verde!! 🙂