Le immagini come esperienza incarnata. Die Zauberflöte secondo Fanny & Alexander

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Con l’allestimento de Il flauto magico, Fanny & Alexanderdal 16 al 24 maggio al Teatro Comunale di Bologna – non solo si confronta con l’opera di Mozart – dimostrando ancora una volta come le compagnie del teatro di ricerca siano in grado di affrontare la tradizione e di fornirle, diciamo così, nuova linfa – ma coglie l’occasione di “onorare la discendenza del nostro nome” – come scrive Luigi De Angelis nelle note di regia – con un tributo a Ingmar Bergman regista, a sua volta, nel 1975 della versione di Die Zauberflöte per la televisione svedese.

Affidandosi ad una storia “altra” rispetto alla propria ricerca e ai propri di temi di riflessione, Fanny & Alexander sfrutta la qualità e le caratteristiche oniriche e fiabesche del Flauto magico per lavorare sul dispositivo della visione che lega il teatro all’audiovisivo (cinema e televisione) per arrivare poi a trattare queste fantastiche macchine per l’immaginario dal punto di vista dell’immersività – o meglio dell’esperienza delle immagini attraverso il corpo – ottenuta attraverso l’apparato di immagini in 3D sviluppato da ZAPRUDERfilmmakersgroup.

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La visionarietà della vicenda del Flauto magico e dei suoi personaggi è garantita dal pensiero drammaturgico di Fanny & Alexander che rivendica ed esplicita il carattere illusorio del teatro. Per farlo opera su diversi piani di realtà: a cominciare dai due bambini – Fanny e Alexander appunto – che guardando la platea dal video e sporgendosi tridimensionalmente verso il pubblico sono lì a ricordare come a teatro il raddoppiamento di realtà, e perciò lo svelamento dell’inganno, richiedano un atteggiamento di apertura alla finzione e alla sua bellezza.

E non è un caso che proprio sull’ouverture i due bambini in video giochino con un modellino di teatro che diventa un diorama – medium visivo antecedente del cinema – e una citazione del film di Bergman ambientato in un teatrino barocco.

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Anche lo spettatore viene continuamente guardato mentre guarda, così come succede nel film che si apre proprio con la ripresa dei volti degli spettatori di Die Zauberflöte.

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Uccelli, foglie, calle, statuine di animali, un dinosauro giocattolo che fa da drago sono i contenuti delle immagini in video che insieme alla scenografia definiscono gli ambienti dell’opera insieme alla scenografia di De Angelis e Nicola Fagnani.

Pannelli colorati che si aprono e chiudono come diaframmi – ecco un altro dispositivo visivo questa volta fotografico – e quinte illuminate da luci colorate quasi a ricordare l’importante tradizione del teatro immagine ma anche, allo stesso tempo, rimando e citazione all’arte visiva, ad esempio James Turrell, altra cifra di sempre della compagnia.

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Dal canto loro le immagini tridimensionali, da guardare indossando a comando gli occhialini bi-colore, si fanno pratica e metafora di quell’idea di realtà aumentata che riguarda, sì, le affordance (le possibilità) tecnologiche ma che qui viene “espansa” in funzione meta teatrale utilizzando l’intero teatro con i personaggi che entrano da dietro, che si affacciano dalle balconate, dalle maschere del Comunale vestite come il coro…

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A tutto questo naturalmente va aggiunta la musica, con la direzione di Michele Mariotti, il canto, la bravura degli interpreti adulti e bambini, i costumi immaginifici progettati da Chiara Lagani… insomma tutto l’impianto spettacolare nel suo insieme. Di un’opera d’arte totale resa ancora più totale dalla capacità di Fanny & Alexander di attraversare l’opera di un (altro) artista bambino e il messaggio d’amore che contiene per indagare l’immaginario, l’illusione, il regime scopico novecentesco e la corporeità.

Il teatro riflessivo alla prova della Rete Critica

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Seguo l’esempio di Altrevelocità per dichiarare le segnalazioni di questo blog nell’ambito del premio istituito dalla Rete Critica, associazione di blog e web magazine di critica teatrale messa in piedi da Massimo Marino, Anna Maria Monteverdi, Oliviero Ponte di Pino e Andrea Porcheddu e che si riunisce in questi giorni a Vicenza, grazie alla collaborazione del Laboratorio Olimpico.

Visto che quest’anno non riesco a partecipare se non in remoto, e neanche quanto vorrei, resto comunque in attesa del risultato finale delle votazioni. Anche perché una delle mie candidature è passata al secondo turno.

Queste le mie segnalazioni

1. Motus, Nella tempesta

Silvia pelle leopardo

2. Babilonia Teatri, Pinocchio

tutti bella

3. Fanny&Alexander, Discorso giallo (lavoro passato al secondo turno)

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La motivazione è comune poiché penso che si tratti di tre esempi particolarmente riusciti di “teatro riflessivo”, di un teatro cioè che si confronta con le istanze di realtà senza perdere di vista la qualità formale, che è altissima e coerente con la poetica delle singole compagnie.

Buon lavoro alla Rete Critica e in bocca al lupo ai finalisti.

Educazione e televisione nel teatro riflessivo di Fanny & Alexander. Discorso giallo a #sant13

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foto di Enrico Fedrigoli

Discorso giallo – fra gli spettacoli in programma nella prima settimana di Santarcangelo 13 – è la seconda tappa del progetto Discorsi – articolato in 6 spettacoli e 6 radiodrammi (fra cui Giallo. Radiodramma dal vivo durante il Festival) – con cui Fanny & Alexander indaga sulle forme del discorso pubblico e delle sue declinazioni – politico, pedagogico, religioso, sindacale, giuridico e militare – associate ad un colore-simbolo. Se dunque il grigio è associato alla politica nel “primo episodio della serie”, Discorso Grigio appunto, il giallo viene qui attribuito all’educazione.

I colori dei discorsi sono delle bandiere emblematiche da un lato, dall’altro sono i colori di una lingua denotativa non immediatamente decifrabile. Giallo nei simboli umani è il colore del divieto e della coercizione (strisce gialle, cartellino giallo, semaforo giallo); dall’altro se dici giallo vedi la luce, il sole, l’infanzia. Ma giallo è anche acido, abbagliante, doloroso (Chiara Lagani)

Come ambito dell’esperienza individuale e collettiva l’educazione per F&A non riguarda esclusivamente le tradizionali agenzie deputate alla formazione dell’individuo, della sua crescita e della sua identità, ma pertiene anche al sistema dei media e in particolare alla televisione. Quest’ultima è intesa infatti come un ambiente di socializzazione e di messa a punto di una forma retorica, così come succede per il Discorso Grigio della politica, di straordinaria efficacia.

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Il dispositivo drammaturgico può essere descritto, in prima battuta, come la messa in sequenza di modalità e stili espressivi di tre personaggi televisivi che nella storia spettatoriale e generazionale di F&A possono essere considerati gli emblemi sia dei processi di trasformazione della società, sia di quella televisione che li racconta.

È Chiara Lagani a dare corpo in scena alle tre figure che permettono di ricostruire la storia sociale della retorica educativa di matrice televisiva. La prima è quella di Alberto Manzi, meglio noto come il maestro Manzi della trasmissione Non è mai troppo tardi, andata in onda su Rai1 dal 1959 al 1968, espressione di quella stagione paleo televisiva che dichiarava apertamente la sua vocazione pedagogica. Una missione che cambia totalmente registro negli anni ottanta con la messa a punto dei linguaggi neo-televisivi e di puro intrattenimento di cui Piccoli Fans (su Rai2 dal 1983 al 1984), con la conduzione di Sandra Milo, è un esempio particolarmente compiuto per poi arrivare a una nuova forma della caratteristica pedagogica incarnata, con tutta l’ambiguità che il territorio mediale e televisivo riesce ad esprimere, da Maria De Filippi e dal suo Amici.

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Ecco allora che Discorso Giallo si presta ad essere considerato un ulteriore elemento di quello che, come già ho avuto modo di sottolineare, può essere definito un teatro riflessivo, propenso cioè ad usare le istanze della contemporaneità sia a livello estetico sia di contenuti con grande consapevolezza. Per questi motivi si pone sulla linea di un teatro sociologicamente interessante, capace cioè di fornire dei parametri di osservazione non tanto “realistici” ma adatti a costruire quei meta-commenti sul mondo, il nostro, indispensabili alla qualità riflessiva della performance.

Di questo e di molte altre questioni ho avuto il piacere di parlare con Chiara Lagani in una lunga e illuminante conversazione/intervista di cui qui riporto lo stralcio dedicato alla definizione di Discorso Giallo come esempio di teatro riflessivo.

LG:Discorso Giallo sembra avere tutte le caratteristiche utili alla definizione di “teatro riflessivo”, ossia all’utilizzo di un concetto che, riconoscendo la riflessività come qualità che il teatro ha da sempre, serve a connotare la tendenza di una parte del teatro contemporaneo a confrontarsi con la “realtà”. Volevo partire da qui: se davvero esiste, da dove nasce quest’esigenza nuova?

CL: Devo dire che mi colpisce la scelta della parola “riflessivo”, perché recupera un significato quasi etimologico del teatro e anche del nostro progetto Discorsi. Ognuno dei discorsi, al di là degli esiti e delle forme-colore differenti, manifesta esplicitamente la volontà di fungere da specchio per lo spettatore, di riflettere, anche solo per un attimo, l’immagine di una collettività che in esso si rivede, anche in modo orribile, perché si tratta pur sempre di un’indagine sulla tossicità del contemporaneo. Un aspetto che in Discorso Grigio è già evidente perché mette in scena, attraverso il corpo di un attore volti, parole, retoriche e modi della politica degli ultimi vent’anni che in qualche maniera rispecchiano un sistema culturale nel quale siamo tutti coinvolti.

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Discorso Giallo parla dell’immaginario televisivo, di cui noi tutti siamo profondamente imbevuti, al di là della nostra volontà. Le figure che attraversano i corpi degli attori sulla scena vengono dal mondo della politica, dello spettacolo televisivo, dunque dal nostro terreno culturale profondo e dal nostro orizzonte immaginale quotidiano. Parlano della materia di cui siamo fatti, di quel che si agita nelle parti più remote e profonde del nostro universo psichico, irrimediabilmente frammisto ai sogni, agli archetipi, alle memorie. Per cui la dicitura che hai scelto – teatro riflessivo – è come se puntasse il dito su questa volontà-capacità-possibilità del teatro di farsi specchio a partire da tanti tipi di materiale: da un testo, da un mito, dalla storia, oltre che dalla realtà (Chiara Lagani).

Lezioni di comunicazione. Il teatro per Fanny & Alexander

Una vera lezione – soprattutto per me – quella di Chiara Lagani, ieri mercoledì 29 ottobre a Teatro e Spettacolo, Scienze della Comunicazione, Sociologia, Urbino.

La lezione sta nell’usare il teatro, e la ricerca della cosiddetta terza generazione, come strumento dell’arte e della riflessività, della comunicazione come contratto scenico che sta nella connessione fra parole chiave: attore, spettatore, spettacolo, testo, drammaturgia…

Il punto sta nel comprendere, da dentro, dalla viva voce e dall’esperienza di chi sperimenta il senso della performance, il “corpo” vero del teatro. Con la sua bravura di Chiara Lagani ci ha fatto entrare nel mistero di certi significati (i rimandi all’arte, come citazioni, al linguaggio, ai linguaggi e alle tecnologie, alle grammatiche, le dinamiche dello sguardo e dell’osservare osservazioni…) della poetica e della ricerca di Fanny & Alexander dove, mi sembra di capire, bios e logos trovano sempre una forma di solidarietà.