Opera to the people. COMMUNE di Maria-Magdalena-Kozłowska #flashdasantarcangelo22

©Anna-van-Kooij

COMMUNE – dell’autrice, regista e performer polacca Maria Magdalena Kozłowska in programma al Santarcangelo Festival – è un’opera-buffa che gioca ironicamente e seriamente con gli stilemi dell’opera lirica e della protesta politica, richiamandosi allo sciopero delle donne in Polonia, ai collettivi femministi, all’idro-femminismo. In questa combinazione si spiega un lavoro che usa la musica e il canto per creare quell’ambiente prelinguistico che attraverso il sonoro può tenere insieme una collettività, anche temporanea.

In questo senso COMMUNE richiama l’idea del mettere insieme le persone e il loro interrogarsi sul senso politico dell’arte. Un quesito non di certo nuovo ma che qui viene indagato attraverso un formato interessante e divertente. La COMMUNE in scena è, infatti, quella formata dalle 4 performer – Maria Magdalena Kozłowska insieme alle flautiste Teresa Costa e Beatrice Miniaci e la percussionista Aleksandra Wtorek – che aspettano l’arrivo del pubblico in sala stravaccate sulla prima fila della platea, con i volti coperti da passamontagna colorati in evidente richiamo alle Pussy Riot e che, una volta salite sul palco, danno il via a una interlocuzione narrativa con il pubblico – parlata, musicata e danzata – che racconta di ragazze ribelli fin da piccole alle quali una mitica nonna comunista – interpretata dal cantante soprano Maayan Licht – impartirà vere e proprie lezioni di protesta. La nonna mostrerà come incanalare la rabbia attraverso l’opera, unendo il virtuosismo canoro e musicale al testo che parla spudoratamente di corpo, fluidi e odori.

Come spiega Kozłowska nella bella intervista di Guendalina Piselli:

«Abbiamo sperimentato modi per espandere la performatività dello strumentista. Invece della tradizionale immobilità, abbiamo aggiunto molto movimento, il che non significa rinunciare al virtuosismo. Al contrario, in questo modo la passione per la musica diventa più incarnata. Cerchiamo un’opera positiva per il corpo, emancipatrice. Qui le donne non soffrono: celebrano i loro fluidi corporei indisciplinati e danno voce ai loro sentimenti complessi».

Lo scenario del Teatro Galli, forse la prima occasione per portare un lavoro come questo su un palco d’opera tradizionale e ripensarne l’estetica, restituisce una scena nera, arredata con le sculture d’acqua di Jan Tomza, che insieme ai costumi, rimandano all’immaginario oscuro post-punk creando un effetto visivo potente proprio perché riesce a far stare insieme questi diversi cliché visuali.

Un lavoro come questo allora ha una forza politica che non deve essere rintracciata nei caratteri novecenteschi, anche se vi rimanda, ma nelle logiche e nelle forme di una generazione più giovane che attinge da fonti diverse – non ultimi i social media – pratiche, discorsi e contenuti ricombinandoli, in questo caso giocosamente, in una rinnovata forza sovversiva sincronizzata con lo spirito del tempo.