In occasione della celebrazione dei 150 anni d’Italia Cristian Ceresoli compone la drammaturgia del monologo interpretato da Silvia Gallerano LA MERDA- Decalogo del disgusto #1, tragedia in 3 tempi: le cosce, il cazzo, la fama, e un controtempo: “l’Italia”.
Se ne è parlato ieri – 15 marzo 2014 – durante l’incontro coordinato da Lorella Barlaam al Teatro Rosaspina di Montescudo con Cristian Ceresoli e Silvia Gallerano.
LA MERDA ci restituisce un esempio potente di teatro riflessivo, capace cioè di gettare uno sguardo profondo sulla contemporaneità. Una contemporaneità che emerge dalla prospettiva di osservazione di una generazione, quella nata a metà degli anni ’70 – cui lo stesso autore e attrice appartengono -, che incarna le questioni politiche e culturali di quegli anni – il genocidio culturale denunciato da Pier Paolo Pasolini, perché “Pasolini è nel nostro corpo” ci ricorda Gallerano – e che è cresciuta nell’immaginario – anche un po’ machista – di Guerre Stellari, Karate Kid ed Heather Parisi, come sottolinea Ceresoli.
Ed è in questo collasso generazionale tra denuncia pasoliniana e immaginario pop che un lavoro come LA MERDA può provare ad essere posto, sia per forma sia per contenuto.
Silvia Gallerano sta nuda in scena, seduta su uno sgabello over size ed esegue un monologo che è polifonico (cito Barlaam) perché cambiano i registri, le voci, i volumi ma anche le espressioni del volto: una vera e propria maschera vocale.
Si presenta come un corpo, raccontandoci delle sue cosce troppo grosse; ci parla della sua infanzia e del padre che le ha insegnato il valore della resistenza attraverso la tenacia dei ragazzi che hanno combattuto per l’unità d’Italia. Idea che lei proietta nella pratica di resistere per riuscire a “diventare qualcuno”, una persona famosa nel mondo dello spettacolo, anche solo facendo una pubblicità. Ci dice come ci si debba “abituare” a fare quello che serve per riuscire nella vita, come lei ad esempio che usa il sesso facendosi in realtà usare. Il monologo si sviluppa così in un crescendo di tragicità che evoca la nuda vita (Agamben) attraverso la “messa in mostra” di un essere umano feroce, fragilissimo e scomodo perché ci assomiglia e che perciò non possiamo giudicare. È il teatro della crudeltà (Artaud) di un corpo che si dà in pasto al mondo, facendosi attraversare dalla cultura (quella maschile, della prestazione, ecc.).
Le parole e la musica dell’Inno d’Italia “vengono fuori, dice Gallerano, in maniera ostetrica”. La merda è sì il pantano in cui ci troviamo e che produciamo ma simbolicamente è un elemento fortissimo: tabù antropologico, rimosso culturale che qui però viene riattualizzato dalla scrittura “per flusso di coscienza” di Ceresoli che rimanda a Bouhmil Hrabal, Joyce, Céline. Torna buono a questo proposito il richiamo a Julia Kristeva e al suo saggio sull’abiezione dove la scrittura viene evocata come strumento per il superamento del nichilismo moderno.
Resistenza e approccio generazionale, infine, stanno anche nel meccanismo di circolazione attivato da Ceresoli che con la pubblicazione in rete di schegge video e materiali dello spettacolo è stato capace di formare viralmente un pubblico per LA MERDA, prima che lo spettacolo andasse in giro e si guadagnasse i riconoscimenti e i premi che può vantare oggi.