Saluti e baci. Cartoline, twitter, mail: conta il come o il cosa?

Sulla dimensione mediologica della cartolina è stato detto. Anche io nel mio piccolo ho ripreso le considerazioni che permettono di collegare il processo di virtualizzazione della comunicazione alle dinamiche dell’industria culturale “via” immagini e immaginario del viaggio. Certo è che soprattutto in estate l’argomento torna. O per dire che non si scrivono più, che si tratti di un medium in crisi o per metterlo in relazione ad altre forme della comunicazione breve. Ed è così che su Il Sole 24 Ore di domenica 15 agosto non poteva mancare la messa a tema della transizione – mancata? auspicabile? inevitabile? – dalla cartolina a twitter.

Senza cadere nel passatismo mediale non si può però negare che a fronte di cartoline scritte, spontaneamente, o addiritttura composte graficamente da artisti, uomini e donne “di cultura” non soltanto per mandare “saluti e baci” (che è il titolo della foto messa qui che non a caso fa parte dell’omonimo volumetto che raccoglie le strampalate e stupende cartoline di Bruno Munari) ma per scambiare pensieri vari, i twitter richiesti dal Sole a talune “personalità” sbiadiscano un po’. Là dove per cartolina si sono scritti la Pivano e Hemingway quando la prima traduceva Addio alle armi, oppure là dove Malaparte spediva cartoline con impresso il suo odore al cavallo Fedro… qua questi twitterini raccolti non si sa bene perché in occasione del ferragosto sanno un po’ di forzato. Tant’è che uno come Franzen ha risposto no grazie. Mi chiedevo poi, senza verificare, ma questi hanno twitter? Hanno fatto un replay? Non ho capito bene. Ho solo pensato che l’operazione fosse abbastanza inutile per forma e per contenuto. Basti pensare che le “personalità” coinvolte non fanno che cogliere l’occasione per ribadire, a parte qualcuno, che la loro sì che è una vacanza figa, via dalla pazza folla!

A queste letture che poi in fondo indagano sull’evoluzione delle pratiche – di scrittura anche – segue oggi un altro articolo di cui sentivo parlare questa mattina su RadioTre della presa di posizione anti-tecnologica di Franzen, appunto, e dei modi in cui si può prevedere il ritorno al romanzo a puntate e forme simili adatte alla diffusione dei vari kindle, Ipad, evabbè. Perché no? Mica male. A me piacerebbe anche quello.

Sta di fatto che “la tecnologia” è anche contenuto dell’immaginario. E la letteratura lo sa bene. Ultimo caso per quanto mi riguarda è Le ho mai parlato del vento del nord di Daniel Glattauer che, idea non nuova credo, si svolge tutto in uno scambio per mail fra i due protagonisti. Gioca sull’attesa, sul tempo perché la mail è lenta. Mi chiedevo, mentre leggevo, perché mai questi due non chattassero 🙂 Eppure è lì che il meccanismo dell’intrattenimento si è prodotto, nel crescendo di aspettative, nella proiezione e a volte nell’identificazione. Come deve essere direi. Tanto poi che il finale, nello scarto con le mie aspettative di lettore, mi ha prodotto un reale mal di stomaco.

Scoperte d’estate. Io sono una pank.

E no… non sto parlando di donne nude ma di una interessante scoperta di qualche giorno fa. Una lettura da spiaggia, visto che il sole prima c’era, mi ha rivelato di far parte anche io, finalmente, di una categoria. Secondo un servizio della rivista Elle di agosto anche io potrei rientrare nella Pank Revolution. Non chiamatele zie cioè a dire posso essere considerata facente parte del gruppo “Professional Auntie No Kids”.

Sono in buona compagnia di altre zie naturali o acquisite come Cameron Diaz, Beyoncé, Valeria Golino e condividiamo queste caratteristiche: non avere figli (sai com’è…), adorare i nipoti, per parentela (è il mio caso e ci tengo), o i figli delle migliori amiche, essere presenti ma non pressanti, amare la moda e lo stile (LOL), fare regalini cool e piccole sorprese esclusive, come prenotare un viaggetto all’improvviso o procurarsi l’ultima edizione della loro saga preferita (a prosposito del viaggetto alle mie nipoti ho fatto presente di non essere Beyoncé), trasmettere amore ma, se necessario, saper dare strigliate verbali (non si trasmette niente, si sa e basta, ma si capisce il senso), non preoccuparsi di essere una zia perfetta (anche perché tanto lo capiscono subito), prendere sul serio il ruolo influente nella vita dei nipotini, ma essere sempre ironica e lieve come un’amica (effettivamente si ridacchia parecchio), essere pronte a parlare di sesso… Oggi, si sa, i bambini crescono molto velocemente (mah…), destreggiarsi bene nei social network, anche per comunicare con loro (questa mi piace!!).

Naturalmente l’articolo mette in evidenza le cause sociologiche e le implicazioni psicologico-emotive nonché gli atteggiamenti da evitare per non diventare troppo pesanti e noiose come zittelle.

E comunque avrei preferito che l’acronimo fosse “punk”.