In convalescenza, occasione buona per leggere, mi sono ritrovata fra le mani un articolo di Domenico Quaranta (su Flash Art, nov. 2007) dal titolo Rimediazioni. L’arte in Second Life. ChissĂ a chi fa riferimento? 🙂 Le cose che dice sono molto utili per me. Ammiro gli specialisti.
Il passaggio centrale, a mio parere, è quello in cui chiarisce come le due strade intraprese dall’arte per così dire “autoctona” o “nativa” in SL siano:
1. modellazione in 3D e programmazione degli spazi (il che mi fa pensare a come si sta lavorando in LucLab, alla dimora di Gky, ecc.).
2. gioco identitario (centrato sull’avatar) e performance
Quindi: centralitĂ della tecnologia da un lato, confronto con il contesto sociale e con le dinamiche relazionali dall’altro.
Richiama poi figure come Starax Statosky, padre fondatore di un’arte nativa, Man Michinaga e la sua volontĂ di “fare qualcosa che sia reale in SL” (e come potrebbe essere altrimenti?). Membro di Second Front, collettivo stile Fluxus in world e autore di diversi re-enactement come Second Supper (2007). Infine Gazira Babeli: progetto totale basato sulla costruzione di un’identitĂ narrativa. Perfetta logica della comunicazione.
Su questi spunti metto giĂą i quesiti che il passaggio alla mostra di Zanara (con Joannes, Gianky, Zazie) di qualche tempo fa ha lasciato in sospeso.
La “discarica dell’immaginario” (sempre per usare l’articolo di cui sopra) si compone anche di queste forme che non possono fare a meno di rappresentare un corpo femminile adatto allo stereotipo erotico-animale che francamente trovo becerissimo. Si sa. Con buona pace di sperimentatori sul corpo e sull’identitĂ all’Orlan per intendersi. Peccato.
Però questa serie di autoritratti va fatta rientrare nel punto 1. della tipologia artistica di Quaranta ed è un buon esempio di quel confronto aperto con la cultura della manipolazione dei media e con un’estetica (non se ne avrĂ a male Quaranta se mi appoprio di questa espressione felicissima giĂ usata anche qui) basata “sul culto della bellezza sintetica ed eccessiva”. Processo il cui apice, lo sottolineava Joannes quella sera, sta nel ritocco in photo-shop di quelle immagini dell’avatar.