Mi voglio ricordare di Caramel, film franco-libanese di quest’anno di Nadine Labaki. Oltre alla dimensione del femminile così ben tratteggiata, senza dimenticare quella del maschile e delle relazioni fra i generi a ben vedere, il film mi sembra un buon esempio della meta-territorialità dell’immaginario. La sua capacità cioè di produrre e diffondere forme condivise ma non per questo necessariamente omogenee, omologate. Piuttosto di condivisione “sensiva”. Cioè riescono a rimandare a forme del sentire, del sentimento, che pur nelle varianti, riconosciamo a distanza e che possiamo sentire (appunto) comuni. Forse è Beirut stessa a rappresentare un luogo ideale dell’incontro fra cristianesimo e cultura musulmana, fra tradizione (rappresentata dalle madri ad esempio) e modernità delle più giovani, fra situazioni uguali dappertutto donne-mogli-amanti e mondo lesbico, in latenza, abiti tradizionali e vestiti all’occidentale sempre un po’ adattati a un altro gusto, problemi degli anziani (mai paghi della ricerca d’amore) e dei giovani. C’è anche un po’ di linguaggio da soap opera, che non guasta.
Così come il desiderio pazzo di rimanere giovani e belle fino alle estreme conseguenze lo troviamo in Jezebel di Irène Némirovsky. Qui però essere desiderate fino all’ultimo non significa essere oggetto sessuale ma piuttosto possedere, usare la propria bellezza per prendere. E anche questa mi sembra una gabbia non poco claustrofobica.
Ho letto molto bene di Caramel e pensavo di andare a vederlo presto. C’è un bel commento di Gad Lerner sull’ultimo numero di Vanity Fair.
E’ off topic, comunque, visto che le piace il bel cinema: Across The Universe.
http://www.mymovies.it/dizionario/recensione.asp?id=49437
l’ho visto domenica è piaciuto molto. Sono completamente d’accordo con ciò che hai scritto in merito.