Che la dimensione partecipativa e l’appropriazione politica dello spazio pubblico fossero il filo conduttore del Festival è evidente nei diversi progetti del programma di quest’anno. Che poi la partecipazione e l’appropriazione politica dello spazio pubblico passino attraverso i corpi è reso molto bene in alcuni dei lavori di cui ho già trattato e ai quali possono essere aggiunti senz’altro il lavoro di Tino Seghal, Untitled (2000) e Mette Ingvartsen con 69 Positions. In entrambi i casi si tratta di due performance incentrate la prima sul collage di alcune delle coreografie che hanno segnato la storia del teatro del XX secolo e che vengono in qualche modo museificate in due diverse modalità. Una eseguita da Boris Charmatz al Lavatoio, l’altra realizzata da Frank Williens in strada con una resa particolarmente efficace per il fatto che il performer agisce nudo, nella piazzetta dietro al Lavatoio protetto, ma non troppo, dal pubblico. Tanto che il finale sta suscitando in questi giorni reazioni e polemiche da parte di una certa stampa generalista su cui non mi soffermerei.
©Virginie-Mira
Mette Ingvartsen invece propone una rassegna coreografata di una serie di performance degli anni settanta e dei lavori della stessa artista danese incentrati sull’elaborazione culturale e simbolica dei temi (e dei tabù ovviamente) legati alla sessualità. Anche in questo caso la performer interagisce con il pubblico completamente nuda quasi da subito e fra archivio e riattualizzazione attraverso il proprio corpo mette insieme un percorso avvincente, non senza disincanto e ironia, di quello che siamo stati e che forse siamo ancora. Il corpo, la nuda vita, è insomma ancora il terreno di scontro del simbolico e della cultura. Ripartire da lì, dalla consapevolezza della vita che passa dal corpo, può essere un modo per capire come l’arte ci spinga ad osservare un po’ diversamente le cose. Come dire: nel corpo, senza rivangare le provocazioni di 50 anni fa, si annidano rinascita e liberazione. Rebirth e liberation come nell’ultimo e catartico rituale dell’Azdora di Markus Öhrn.