Rimini è per me una città piena di possibilità inespresse. Se vince definitivamente questo progetto di ristrutturazione del Rock Island allora vuol dire che non è ancora tutto perduto.
Chi come me ha passato sabati sera danzanti, sia estivi che invernali e inizi serata a prendere l’aperitivo; chi ha inseguito in quel posto i suoi amori tardo adolescenziali (impossibili e a volte possibili) sa certamente che il Rock Island è un luogo che sta nella memoria individuale e collettiva di una generazione (e lo intendo in senso multidimensionale, non strettamante legato a una coorte d’età visto che ci andavamo io e mia nipote che ha 16 anni in meno di me!). Punto di riferimento per una città di mare che deve però molta della sua identità alle forme dell’intrattenimento vissute prevalentemente dai locali. Forza propulsiva anche per il turismo. Si sa.
Il Rock Island deve essere rimesso a nuovo. Questo progetto – vedere assolutamente i rendering nel sito di Fabio Ferrini – ha il merito di essere pensato da chi il posto l’ha vissuto e ci vorrebbe tornare. Inoltre tiene conto del territorio in cui si trova. Ha una logica progettuale il cui senso è chiarito nella relazione tecnico-poetica di Luca Morganti (sempre sul sito).
“In questo luogo ha ancora un senso l’ormai invalsa opposizione tra terra e mare.
Ma se tentassimo di evocarla, questa opposizione, con gli strumenti del progetto, quale posto si dovrebbe occupare? Il progetto per la riconversione del RockIsland, nel tentare un approccio al tema della modificazione di un edificio che possiede una forte riconoscibilità nell’immaginario collettivo della comunità riminese, si interroga a partire dal luogo ed dalla particolare prospettiva dalla quale questo viene guardato. Concretamente occorreva capire quale fosse il lato giusto verso il quale girare il foglio per cominciare a progettare. Nelle raffigurazioni della città, la maggior parte delle vedute si rivolge dal mare verso la terra ferma come punto privilegiato per la rappresentazione di Rimini. Pensiamo che anche lo sguardo dell’architetto debba rivolgersi verso la stabilità della terra ed alle sue categorie spaziali. Sul mare infatti non è possibile lasciare orme e da sempre l’acqua è considerata l’ambito della follia e dell’”assenza d’opera”.
Ma c’è di più. In quest’idea progettuale c’è un altro fondo simbolico che riguarda il viaggio e il suo immaginario. La “sana” consapevolezza che Rimini rappresenta una particolare declinazione del rapporto fra “qui” e “altrove”, che dipende dalla storia dello sviluppo turistico di massa e che può essere evocata, così come si legge nella relazione, dall’immagine di un relitto che si arena e che perciò ferma il suo viaggio. Resta aperto il riferimento interno, il modo soggettivo con cui poi si fa riprendere il viaggio. Quello che abbiamo nella testa, certamente, e che alberga in questa idea di architettura.