Ieri sera sono stata bonariamente ripresa per aver reso visibile, su Facebook ma anche su Twitter (riaperto per l’occasione), il fatto che stessi guardando Sanremo e partecipando, su opensanremo, alle votazioni ufficiose, ai commenti vari, ecc.
L’obiezione che mi ha colpito di più riguarda la contraddizione rinvenibile in un comportamento del genere da parte di una, che sarei io, che ha appena partecipato alla manifestazione Se non ora quando e che nel suo piccolo protesta contro le derive dell’immaginario femminile, e sulla condizione della donna in genere, con le cose che scrive e che dice.
Mi si è detto anche che alimentando la comunicazione attorno ad un fenomeno di cultura bassa come quello contribuisco ad accrescerne la legittimità. Evidentemente dobbiamo pensare che con un 48,6% di share siamo in molti ad essere dei facilotti e che ci fa comapagnia uno come Battiato, che non mi sembra benevolo nei confronti della nostra povera patria…
A rischio di far pensare che conosca soltanto Morin, e peggio pure soltanto Lo spirito del tempo, mi trovo a chiamarlo ancora una volta in causa per fare un po’ mia la lucidità con cui ha affermato che la così detta cultura bassa, i suoi prodotti, sono parte fondamentale del patrimonio simbolico che abbiamo a disposizione. Anche se Sanremo non esprime certo l’anima più sperimentale della cultura pop, nel senso identificato da Bolelli in Cartesio non balla, ad esempio, è pur vero che siamo dentro un ingranaggio culturale sintonizzato con il mondo in cui vivamo. E per me è interessante, non necessariamente divertente né tantomeno bello. Quest’anno poi il meccanismo partecipativo merita di essere osservato etnograficamente, cioè da dentro, da chi consideri le derive evolutive della comunicazione mediale e tecnologica un suo campo di studio.
Ed è proprio una come me che può notare sì l’inadeguatezza di due donne bellissime a tenere la scena ma di constatare anche di come vengano presentate ironicamente come “le artiste” dai comprimari maschi, vestite da trombone da stilisti tromboni ma tuttavia senza, almeno mi è parso, puntare sull’elemento sexy a tutti costi (insomma, sarebbero dovute sembrare eleganti). Ma anche i campi estetici e la bellezza femminile, insieme all’eroe comico, al divo dimezzato, fanno parte dei criteri di funzionamento dell’industria culturale e vedere come funzionino ancora può avere un significato.
E ce l’ha, questo significato, se pensiamo a come alcuni dei nostri maestri si siano sporcati le mani nel pop, e nella televisione, per comprendere meglio il transito dalle fasi liminali, di passaggio, come può essere stato il sessantotto, ai processi liminoidi che rimandano al bisogno dei rituali senza averne gli stessi contenuti. Sarà un caso se per Victor Turner un testo fondamentale per gli uomini del Libro, così li chiama Turner, sia Copioni da quattro soldi di Pandolfi? Nel 1958 quel libro analizzava il percorso che dai rituali ha portato ai palcoscenici fino a Lascia o raddoppia e svelava i meccanismi che dalle forme spettacolari basate su un avvenimento culturale riconosciuto collettivamente si fosse passati alla possibilità di essere protagonisti, anche senza averne le capacità. Il discorso sarebbe più ampio naturalmente e rimando all’introduzione a Turner di Stefano De Matteis. Qui dico solo che se questi autori non si fossero invischiati un po’ certe cose non avrebbero potuto dirle.
Un’altra critica al pubblico connesso: si guarda Sanremo soltanto per potersi lamentare sui Social Network. E mi viene da rispondere: era ora! Un tempo si faceva un gran casino nei teatri e nei varietà, il pubblico dal vivo interrompeva la scena per garantirsi la sua visibilità. Noi siamo un pubblico televisivo, quello che fa fatica anche a stare zitto al cinema, e lamentarci è un nostro diritto tanto più se è condiviso con altri, anche sconosciuti, con i quali si scoprono divertenti affinità, di cui si apprezza la vena ironica, ecc., tanto più senza dare fastidio a nessuno visto che ce ne stiamo a casa nostra. E’ a suo modo un processo catartico, perché dovremmo rinunciarvi?