Come molte di noi da bambina avevo qualche Barbie, uno o due Ken e, non so come, un Big Jim. In maniera culturalmente determinata, diciamo benevolmente così, per un certo periodo la Barbie bionda stava con Ken e la nera con Big Jim (più tracagnotto e bruttino). Quando si è rotta la testa di Ken (che piegava il collo per baciare Barbie) ho cominciato ad accoppiare la Barbie bionda con quella nera. Big Jim è stato abbandonato al karate. Non mi ricordo se mi divertissi molto ma tant’è… Questione di affordance 🙂
Tutto questo per dire che il calendario dei due artisti argentini, di cui ho sentito parlare dalla Litizzetto, non mi fa un baffo 🙂
Fra i post e le notizie che ho cercato in rete l’affermazione di onewoman è quella che mi attira di più.
Loro si chiamano Breno Costa e Guilherme Souza e, attraverso i loro scatti, sono riusciti a svelare un lato a noi tutti sconosciuto di Barbie, ovvero quello lesbo
non mi sembra così vero se non nell’ironia che forse sottende. E in ogni caso attualizzare le possibilità rimosse è la funzione del sistema dell’arte per cui ci potrebbe anche stare. Tuttavia credo che il punto sia un altro.
In realtà l’operazione artistica mi piace non solo per la chiarezza del messaggio che mette in relazione l’oggetto Barbie – ossia l’immaginario femminile più noto, legato allo stereotipo e alle operazioni culturali che ha generato… ma su questo rimando alle riflessioni di Roberta Bartoletti e al suo “lato b della Barbie” – con lo sfruttamento del corpo femminile e la continua erotizzazione quale meccanismo fondante dell’industria culturale. Insomma un quadro dove anche una bambola-donna senza sesso può subire una trasformazione semantica per via della comunicazione: può essere osservata e quindi costruita come qualcosa che parli del desiderio e delle sue derive più becere. Non perché sia becero il rapporto saffico ma perché è becero il modo in cui lo si rappresenta.
Mi piace piuttosto perché le polemiche che mi sembra abbia generato si sostanzino nella trasgressione omosessuale. Come se le foto di moda, le pubblicità e i tanti calendari che ci becchiamo non ci giocassero da sempre. Non è che magari in quel lavoro ci sia la denuncia anche verso questo tipo di immaginario e agli ultimi colpi di coda del dominio maschile?