Pretty in Pink. Non le Furs ma La Notte Rosa e la sua comunicazione

Può la comunicazione di un evento estivo mettere insieme tutti gli stereotipi della cultura mainstream in una volta sola? La Notte Rosa di Rimini e dintorni ce la fa benissimo.

Lo ammetto è colpa mia se pur consapevole dell’esistenza e resistenza della cultura del loisir – nonché delle sue dinamiche che non vanno giudicate quanto osservate e comprese semmai senza cedere ad atteggiamenti da “cultura alta vs cultura bassa” – la Notte Rosa di Rimini non mi interessa. Nè dal punto di vista della ricerca nè tanto meno come partecipante.

Tuttavia sono anche convinta del fatto che oltre alla necessità di marketing certe carte si potrebbero giocare meglio.

L’altro giorno mentre aspettavo il mio turno in banca ho dato una scorsa al giornaletto/programma degli eventi. Là per là l’ho guardato e riposto poi me lo sono preso perché merita davvero.

Allora da quel che ne so io la Notte Rosa, senza scomodare Umberto Tozzi, è il Capodanno dell’estate. Ma non ne basta uno? Rosa sta non per colore femminile ma per differenzarsi dalla Notte Bianca e veicolare una “nuova” proposta di intrattenimento: non il distretto del piacere – il divertimentificio come si diceva una volta – dello “sballo” in riviera bensì, coerentemente con l’evoluzione della “movida”, una forma di divertimento non più discocentrica ma da aperitivo, da happy hour, in ambienti aperti magari e più soft e con un’offerta più variegata con iniziative “culturali” in mezzo. Insomma per tutti i gusti. Consumi vocazionali?

Per dire tutto ciò il rosa campeggia ovunque e il tutto acquista comunque una stucchevole immagine femminile. C’è anche la Dolce Vita, rappresentata dall’immagine celeberrima, roba da immaginario, di Marcello Mastroianni e Anita Ekberg nella Fontana di Trevi. Che poi è quella del manifesto. Il carattere usato per la scritta La Notte Rosa a me ricorda tanto quello de La Pantera Rosa. Scorrendo le pagine – e facendo caso all’impaginazione con l’inserimento delle foto (per lo più bruttine) in cornici a pellicola cinematografica – vediamo ragazze in bikini che giocano fra palloncini rosa, cappellini rosa con la scritta pink in strass, occhiali rosa, sagome rosa, parrucchiere che acconciano capelli rosa, fenicotteri, cocktail rosa, anche le chiocciole rosa del Cracking Art Group… fino al Martini rosato (che è lo sponsor).

Ci sono cose interessanti in mezzo, non c’è che dire, ma il modo in cui vengono presentate mi sembra che affondino in un mare di rosa che forse, direbbe il teorico dell’informazione, ridonda.

Io Tarzan, tu Jane

Mi diverte vedere come Second Life rappresenti i generi attraverso le posture. Ridefinisce a suo modo gli stereotipi del maschile e del femminile attraverso i comportamenti dell’avatar. Non solo naturalmente nel ballo di coppia e in certe gesture ad esempio, ma nella scelta della sfera rosa e azzurra per eseguire il giusto movimento.

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Qui ad esempio Liu e Joannes si riposano e chiacchierano dopo la visita al memoriale dell’11 settembre. Indovinate in quale delle due immagini hanno sbagliato di posto.

Forme becere dell’immaginario 4

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Leggo, come al solito in ritardo, del gran finale al Motor Show di Bologna. Festa dello stand Ma-Fra. Cito da Repubblica “Protagoniste le ragazze che con i loro balletti sexy da giorni tengono banco nel dibattito cittadino”. Fortunatamente io a Bologna ci sono stata sabato e a parte il traffico il dibattito me lo sono perso. Lo spettacolo si chiama “Sexy car wash”. Ha avuto da dire addirittura Oliviero Toscani: “se fossi una donna mi arrabbierei molto”. Infatti io mi arrabbio molto.

Rappresentazioni e informazione. Sguardi dalla TV

Nella puntata di oggi di TV Talk  si è fatto riferimento a un servizio di Studio Aperto che ha mandato in onda una trasmissione della LBC, una tv libanese, dove un imam dispensa alcuni consigli matrimoniali a tre uomini in studio. Il concetto di fondo sembrerebbe questo: siccome la donna è governata dalle emozioni l’uomo deve tenerla a bada. Quando serve picchiarla bisogna stare attenti a non lasciare segni, mai colpire le mani ad esempio. Meglio usare un piccolo bastoncino come quello che l’imam ha mostrato.

Per fortuna il collegamento da Londra con la giornalista di Al Jazeera English  Barbara Serra  mi ha permesso di allargare un po’ lo sguardo. Bisogna tenere conto, diceva, che il Libano è uno dei paesi arabi più liberi, con il 40% di cristiani, e che pertanto la rappresentazione molto stereotipizzata che ne è venuta fuori andrebbe contestualizzata meglio. Per capire insomma da che contesto viene quella specie di talk show – becero – come l’ha trattato Studio Aperto, ecc.

Si festeggia inoltre il primo anno di vita di Al Jazeera English. Canale poco diffuso in America per motivi legati ai provider e per ragioni ovviamente politiche. La giornalista faceva notare che invece Al Jazeera dedica molto spazio al tema della violazione dei diritti delle donne e che produce molti programmi dedicati al sociale.

Su Al Jazeera English ho trovato un post molto interessante su Pandemia. 

Ridondanza e varietà per farsi delle idee delle cose. Dove la verità, si sa, non è il punto centrale della questione.