Solo un gesto per Leo de Berardinis

Si passava quasi quotidianamente con l’autobus davanti al Teatro di Leo, a Bologna.

Ci si fa un’idea su Leo de Berardinis e sul suo contributo alla scena teatrale contemporanea qui e qui.

Ma i ricordi veri li ho trovati qui e poi anche qui, dove si capiscono anche delle cose dell’amore.

Metafore della caduta. Da King Kong all’11 settembre

Ieri sera ho rivisto, in parte, il documentario – ma direi che si tratti di un docu-fiction – 11 settembre. Il giorno che ha cambiato la storia che insieme ad altri eventi di commemorazione visti in televisione, letti, ecc. fa parte di quella forma rituale di metabolizzazione del lutto da leggere anche nel rapporto fra dramma sociale e perfomance culturale.

Leggendo il post The falling man – che mi sembra porti attraverso il meccanismo riflessivo della letteratura al lavoro di lutto individuale, cioè nell’ancoraggio fra il medium e il vissuto – mi è però tornato in mente anche il passaggio indicato da Abruzzese ne La grande scimmia come tassello importante nell’analisi dell’immaginario, e dell’immaginario della castrofe. Sul piano quindi dell’immaginario collettivo e del patrimonio simbolico più generale.

Nel film del 1933 King Kong cadeva dall’Empire State Building, “nuova immagine di catastrofe praticata sul corpo della scimmia e nel cuore della grande città”, nel film di Guillermin del 1976 (quello che abbiamo visto noi) King Kong cade dalle torri gemelle. E chi si ricordava? E così dice Abruzzese: “messa in opera della realtà del tragico evento dell’11 settembre 2001 che ha distrutto alle sue radici lo scenario verticale su cui si è fondata l’intera mitologia della Grande Scimmia”.

E mi verrebbe da dire anche la mitologia verticale del maschile e di una certa cultura. Ma questo è un territorio minato. Rimanderei a Bachelard e a Durand.

Qui basti dire che l’evento drammatico continua a produrre forme (rappresentazioni) che passano per letteratura, cinema, arte (lo si vedeva anche all’ultima Biennale di Venezia), nel memoriale di Second Life, fino ad arrivare alla nuova sight di Ground Zero.

Crac. Una parola-performance per Motus

Ieri sera, 7 settembre, alla Sala Il lavatoio di Santarcangelo, Motus ha riallestito la performance Crac, commissionata dal Madre di Napoli e dalla Galleria Toledo e progettata nell’ambito delle residenze creative del progetto dimore all’Arboreto di Mondaino, partner di Motus nel più ampio progetto X (ics) racconti crudeli della giovinezza. Ne avevamo parlato qui e qui.

Non è un caso – si diceva anche con Daniela Nicolò, che insieme a Enrico Casagrande firma ideazione e regia – che questo tipo di lavoro sia adatto al contesto espositivo più che teatrale in senso stretto. La dimensione della performance infatti è quella che meglio caratterizza un’azione in cui alla potenza evocativa ed estetica del visual design (rigorosamente live di Francesco Borghesi), riflessi di finestre, tappeti di luce, eclissi… si integra il sound environment (Casagrande e Roberto Pozzi; collaborazione tecnica di Giancarlo Bianchini/Arto-Zat) per presentificare la città, un immaginario metropolitano affascinante e inquietante, con le sue sirene, rumori di scontri, che in immagine ricordano i vecchi videogame, le voci raccolte per Napoli e Roma (segni anche della nostra attualità in campo politico). Il tutto in perfetta sincronia con il corpo poetico di Silvia Calderoni.

La “figurina bianca”, così leggiamo, “viaggia, combatte, si arrende, si alza di nuovo, instancabile nel tentativo di ridefinire i confini che tendono a delimitare, chiudere, separare. Tutto sembra precipitare, corrompersi, ma alla fine una nuova piantina dallo sfacelo nasce” .

Forme e contenuti della performance – e in particolare di questa performance – che esortano a mettere in campo una forma di resistenza – “partitura fisica d’emergenza” mentre aspettiamo “l’ora X del pianeta”. Non senza un po’ speranza però. In fondo, mi sembra di capire, dipende da ognuno di noi resistere o lasciarsi “separare”.

Auto-sguardi turistici

Come al solito non ho studiato per affrontare il mio primo viaggio in Sicilia. Naturalmente avevo delle aspettative verso delle immagini (rappresentazionalmente parlando) e verso degli ambienti (performativamente parlando) da agire ed esperire (per dirla con Simmel e i suoi Saggi sul paesaggio).

 

Contemplare e stare dentro (fra i flutti in questo caso).

Come sempre Morin ci aveva visto giusto. Il comportamento turistico richiede di macinare chilometri, di consumare riti antropofagici, di collezionare immagini e cose (varranno anche dei pantaloni comprati a Stromboli?), guardarsi guardare.

Indimenticabile la mini-crocera a Panarea e Stromboli. In paricolare l’ansia da performance foto-video per riprendere i lapilli del vulcano. Che devo dire però ha deluso molti dei presenti sul barcone che si aspettavano che la sciara del fuoco provocasse uno tsunami. Se no che vulcano è? Lo chiamerei: immaginario della catastrofe.

Indimenticabili il cielo stellato, il mare calmo, e il vulcano che parla come vuole lui. Da vivere in silenzio. Effettivamente in questi casi bisognerebbe starsene da soli. Questione di prospettiva interna.

Una serie di stereotipi confermati: 1. gli italiani sono chiassosissimi e maleducati; 2. a Panarea se non sei vip puoi essere trattato male. E poi chi lo dice che io non sono una vip? 🙂

Ecco la serie “dalle stelle alle stalle”: delusa l’attesa in un bel ristorante la crociera per noi si è conclusa sulla spiaggia nera a mangiare arancini (io no perchè mi navigavano ancora gli ottimi maccheroni alla Norma, che secondo me Bellini non ha mai mangiato però).

 

Prove da vip/chic

Residui di stratificazione (?).

Si va anche alla ricerca – in macchina ovviamente – di spunti interessanti. Dall’ Art hotel – Atelier sul mare a Castel di Tusa alle tracce del Parco Fiumara d’arte, fra land e public art.

La finestra sul mare ovvero Monumento per un poeta morto, ideata da Tano Festa in memoria del fratello scomparso.

Che dire del teatro di Taormina? La grandiosità di un’architettura al servizio della città e la messa in forma dello sguardo moderno.

 

Il turista moderno mira alla ricerca paradossale dell’autentico? Bene. Si faccia un giro per il mercato del pesce di Catania. E annusi. Quando un luogo ti attanaglia i sensi. Terrific.

Il rapporto con i locali. Dalle padrone di casa, al nostro cane ospite Spot e al gatto; da negozianti, bagnini, ristoratori, fino al vigile urbano che ci ha raccontato commosso la festa di Sant’Agata (che a questo punto vorrei proprio vedere, altro che marketing territoriale!) fino agli amici.

La graditissima visita di Maria Elena/Martha che ci ha raggiunti a Cefalù e l’incontro con Antonino/Pico e la sua bella famiglia. Il bar è bellissimo e facciamo il tifo per la sua riapertura.