Flash da #Santarcangelo Festival 2050 (4): Sovrimpressioni di Deflorian/Tagliarini

Ph Claudia Borgia, Lisa Capasso

Abbiamo visto Sovrimpressioni nella bellissima Sala Pamphili del Teatro degli Atti di Rimini, potendo godere di un allestimento “per il lungo” dove su un lungo tavolo rettangolare, diviso da uno specchio, Deflorian e Tagliarini stanno seduti uno di fronte all’altra a capotavola mentre vengono truccati, come se dovessero andare sul set televisivo a fare Ginger e Fred allo stesso modo di Pippo e Amelia nel film di Fellini cui il lavoro è liberamente ispirato.

Ph Claudia Borgia, Lisa Capasso

I due non si toccano mai e non ballano insieme. La loro danza, semmai, si costruisce nella ricorsività del linguaggio, nello scambio conversazionale in cui – nell’indagine sempre più profonda sul rapporto di biografia e finzione della compagnia – Deflorian e Tagliarini raccontano e riflettono su di sé, sugli altri, sui comportamenti propri e altrui, sullo sfondo storico che le motiva o che comunque le spiega, sul tempo che passa e forse su quella tendenza a essere sempre un po’ autoreferenziali quando parliamo di noi.

Ph Claudia Borgia, Lisa Capasso

Il film è evocato così: nel vestito di scena che Daria non indosserà, nei capelli di Antonio che vengono colorati di grigio ricordando Mastroianni che per fare Pippo se li era fatti diradare, negli aneddoti raccontati con apparente leggerezza e che smontano, ad esempio, le mitologie che il cinema ha costruito intorno ai suoi geni maschi. Come Fellini appunto, svelando quel plafond sessista che ha permeato la cultura e di cui sperimentiamo continuamente i residui. Tagliarini balla, ricordando la sua formazione, Deflorian – sull’altro estremo della sala – va a tempo con musica mentre richiama Greta Garbo intervistata al Plaza di New York e la sua scelta di lasciare il cinema nel pieno del suo mito. Perché mentre Pippo e Amelia, che il successo non l’hanno mai avuto, Greta Garbo ha imparato invece tutte le uscite di sicurezza degli hotel per salvaguardare un po’ della sua privacy. Ed è proprio grazie a questi due anziani artisti senza gloria che Deflorian e Tagliarini – che non gli assomigliano per niente – affrontano l’invecchiamento, che a me sembra il vero tema guida del lavoro, con quella levità sempre intelligente, l’ironia e la profondità spesso commuovente che sono le cifre poetiche più evidenti della compagnia.

Sovrimpressioni è parte di un progetto che comprenderà lo spettacolo Avremo ancora l’occasione di ballare insieme e il film-documentario realizzato con Jacopo Quadri Siamo qui per provare. Non vediamo l’ora di vederli.

Flash da #Santarcangelo Festival 2050 (3): Ultraficción nr. 1 / Fracciones de tiempo di El Conde de Torrefiel

Ph Claudia Borgia

Sul piano della dimensione produttiva Ultraficción nr.1 / Fracciones de tiempo di El Conde de Torrefiel può essere considerato come un esempio particolarmente efficace di quella modalità processuale che caratterizza la parte più interessante delle arti performative contemporanee.

L’ultraficción infatti è sì un appuntamento autonomo ma è allo stesso parte di un percorso drammaturgico in fieri, che porterà alla creazione di uno spettacolo nel 2022.

Il lavoro mette in moto un meccanismo intelligentissimo di spiazzamento del dispositivo teatrale e delle sue convenzioni che attraverso l’indagine letteraria e la dislocazione delle azioni indaga il raddoppiamento di realtà. Cioè la dinamica di realtà e finzione da cui origina il teatro e che qui arriva a postulare l’ultrafinzione, un livello ulteriore di finzione che interpella lo spettatore e la sua prospettiva di osservazione.

Ph Claudia Borgia

Sullo schermo scorre il testo che parla al pubblico e all’agire spettatoriale, racconta episodi apparentemente scollegati che portano a finali inaspettati e si aggancia a situazioni site-specific, reali, di adesso, che succedono durante il Festival, rendendole elementi narrativi finzionali. Intorno, nello spazio, si svolgono le azioni di quello che diventa un dispositivo aumentato, ambientale: le fronde degli alberi che si muovono, la macchina di un tecnico che va a recuperare la ragazza (vera o finta?) della storia, il piccolo gregge di pecore condotte dal pastore e dal suo cane che passano attraverso le sedute, in mezzo al pubblico e che resteranno affettuosamente nella memoria di chi c’era.

Così impostato questo lavoro fa tornare in mente i passaggi dell’interessantissima lecture di Daniel Blanga Gubbay dal titolo The pandemic, the rollercoaster, the grief and the sun sul processo drammaturgico come fenomeno emergente – né lineare, né rappresentazionista – e “more than human”.

Flash da #Santarcangelo Festival 2050 (2): Grand Bois di Bluemotion, Fanny & Alexander con Tempo Reale

Nel complesso della proposta del Festival di Santarcangelo 2050 Futuro Fantastico – che assume come principio guida la semantica dell’ibridazione mutante, la creazione di alleanze e parentele fra forme, corpi, idee – Grand Bois è la parte che tiene insieme e fa emergere il senso profondo di queste connessioni.

Grand Bois è un progetto musicale di Bluemotion e Fanny & Alexander in collaborazione con Tempo Reale, Centro di ricerca produzione e didattica musicale fondato nel 1987 da Luciano Berio. È anche un progetto installativo di Bluemotion e Fanny & Alexander in collaborazione con Santabago.

Grand Bois prende forma come composizione musicale poliritmica pensata come un ecosistema emergente dall’esperienza individuale e collettiva, rituale e spirituale, in accordo con la tradizione haitiana delle cerimonie voodoo cui esplicitamente si ispira.

Una performance itinerante che dalla Piazza Ganganelli, dove all’inizio si raccoglie il pubblico insieme alle musiciste e ai musicisti, si disloca per le terrazze e i tetti di Santarcangelo che diventano le postazioni delle e dei performer riconoscibili e ricercabili sulla mappa fornita ai partecipanti dagli art work di Simone Tso, uniti dall’alto dal canto-muezzin di Ashai Lombardo Arop.

Batteriste/i e percussioniste/i sono collegate/i fra loro mediante un sistema di auricolari in-ear così che dal quartier generale i battiti e le serie di ritmi prodotti dalla/dal singola/o musicista sono mandati alle varie postazioni per dar corpo alla creatura musicale complessa e dare modo al pubblico di concentrarsi sulla dimensione individuale o corale, costruendo il suo percorso di fruizione da solo o insieme agli altri.

Particolarmente affascinante il modo in cui Grand Bois lavora per contagio – un concetto che in diverse occasioni Luigi De Angelis ha elaborato durante la pandemia – fra la dimensione arcaica del rituale e l’eco della trance contemporanea che usa la tecnica come matrice di forme che attraversano i corpi e che ha trovato nel rave la sua espressione ideale. In Grand Bois c’è un melange di tutto questo. Mentre attraversiamo Santarcangelo e i suoi borghi (e conosciamo una Santarcangelo nuova, mai vista da chi non ci abita) sentiamo lo spirito delle discoteche più belle e dei ritmi che le hanno attraversate, lo stare insieme lasciandoci contemporaneamente andare a un’esperienza solo nostra.

[Dedicato al mio Nico, che ha sempre amato la batteria].

Flash da #Santarcangelo Festival 2050 (1): Emilio di Alexia Sarantopoulou

Costruito come un’installazione teatrale, Emilio di Alexia si ispira all’Emilio o dell’educazione cioè al trattato pedagogico scritto da Jean-Jaques Rousseau nel 1762. In estrema sintesi il testo assume che la naturale bontà dell’essere umano può essere salvaguardata dalla corruzione dovuta ai rapporti sociali solo attraverso l’educazione impartita da un precettore secondo certi criteri.

La scena è pensata come un tableau vivant con oggetti combinati in una natura morta vivacizzata sia da Ondina Quadri – che per tutto il tempo interagisce e gioca con gli oggetti, unisce vasi comunicanti con liquidi colorati, disegna gli spazi con gli spray – sia dal lavoro con le luci e i suoni che sono gli altri elementi drammaturgici portanti del lavoro.

Solo verso la fine, quando si è ormai immersi nel corpo-spazio-immagine, alcuni passaggi significativi del testo vengono detti dalla voce fuori campo di Alexia, così da creare altri vasi comunicanti: fra le azioni e i gesti in scena e le parole con il pensiero del filosofo che le informa.

Le atmosfere caravaggesche caratterizzano questo esempio contemporaneo di teatro-immagine che si prende il lusso di affidarsi a un approccio anacronistico sull’educazione e di valorizzare la dimensione estetica.

Non so quanto nelle intenzioni delle artiste il pensiero di Rousseau sia usato per dimostrare come la norma sociale continui nei secoli a irreggimentare le scelte, i comportamenti di tutte e tutti, quanto l’educazione come strumento che agisce dall’esterno dell’individuo sia chiamata oggi a confrontarsi più profondamente con l’agency individuale. Perciò non so quanto di politico ci sia, ma quello che sembra – ed è un merito di questo lavoro – è che la libertà di cogliere i nessi con il presente o, piuttosto, concentrarsi sull’apparato formale e performativo in sé, sia lasciata allo spettatore e ai suoi bisogni di significazione.