Una lezione sul senso del contemporaneo, quella di Silvia Bottiroli. Da Agamben e Nancy per cogliere nel lavoro della Sociétas quella forma del rapporto con il tempo anacronistica e inattuale da cui emerge lo spirito del tempo appunto e, nel caso del teatro, il rapporto con la propria disciplina. Così troviamo esplicitata la funzione sociale dell’arte come attualizzazione di possibilità rimosse, come luogo per comunicare osservazioni.
I miei appunti: il lavoro della Sociétas straborda dalle opere verso la creazione di contesti e formati di relazione con lo spettatore. Un teatro che si interroga sullo statuto dello spettatore come individuo e come comunità temporanea. Così come nella stessa scelta del nome: Raffaello Sanzio ovvero la bellezza che si associa a Società poi Sociétas, nome plausibile per lo stare insieme di una comunità di estranei – inconoscibilità reciproca (intrasparenza delle coscienze diremmo noi) – uniti da una visione. C’è una biografia affascinante che sa di arcaicità contadina, di dimensione familiare e di rigore tecnico-formale ma anche di rapporto con l’infanzia come realtà che mette nudo l’impossibilità della pedagogia (fine del paradigma trasmissivo finalmente!). Dice Silvia “Con il suo immaginario – la SRF – ha contagiato una generazione di spettatori, non necessariamente teatrali”. Una frase chiave per me.
Il valore della performance: teatro arcaico, sacro, pre-tragico, pre-prospettico. L’animale, maestro di presenza, rappresentazione del valore simbolico insieme al linguaggio e alle parole. Come la lingua “generalissima”.
Un filo rosso per l’immaginario attraverso una serie di spettacoli scelti per noi: La discesa di Inanna, mito sumerico che celebra il femminile, aspetto rituale e antropologico, ma anche politico visibile nella deflagrazione fra l’immagine dell’icona sacra e la soldatessa; Santa Sofia e rimandi a Piero della Francesca, bidimensionalità bizantina, aprospettica. L’orizzonte estetico che porta verso Amleto e la ricerca, attraverso l’autismo, sul linguaggio (che viene scarnificato) e sulla presenza dell’attore. Giulio Cesare: i corpi per parlare della parola (scritta). Genesi (1999) che già per me ha segnato un passaggio (efficacia) è l’opera che chiude e apre un ciclo. Esplora il concetto di creazione e ricreazione (luciferina). Un’opera insomma che non fa piazza pulita ma che mette una pietra tombale sul prima. Colpa dell’artista (palco-colpa), la sua presunzione nei confronti di Dio. Se la parte dello spettacolo che mette in scena i bambini e crea un’atmosfera stranamente ovattata e sospesa, rimanda ad Alice per rappresentare i campi di concentramento è perché il punto sta nello scardinamento rispetto al modo “solito” di pensare e vedere. Riflessività della performance. E poi ancora Eva e il nutrimento, Caino e Abele, rapporto vittima e carnefice (che torna nel Purgatorio), l’uccisione rituale del fratello (la specie e le nuove generazioni).
La Tragedia Endogonidia (2002-2004). Sganciamento dalla replicabilità attraverso le Crescite: fase di ricerca della compagnia che poi diventa un piccolo formato performativo in sè: come “riprodursi della materia” breve, 10 minuti, in spazi non teatrali, da vedere in piedi, entrando da una parte e uscendo da un’altra (attraversamento). Creazione permanente, velocità e geografiaper la Tragedia: 11 spettacoli per 10 città europee e Cesena, ognuna con il suo numero di codice. Endogonidia – che mi fa pensare all’autopoiesi – deriva dalla microbiologia e riguarda il meccansimo con cui appunto dei micro-organismi si autoriproducono. La linearità della tragedia attica, il suo meccanismo (climax tragico, apice, caduta) viene rotta così come il rapporto fra azione e coro. Gli spettacoli cono solo episodi perchè viene a mancare la comunità, il coro. E così le città servono per la rappresentazione dell’identità di un popolo e della sua storia collettiva. Creazione dello spettatore episodico, consapevole di essere tale, di essere contesto, dispositivo di visione: parzialità, teoria dello sguardo rovesciato come quando vediamo la nuca di un personaggio che guarda… come il bambino vittima e poi carnefice del Purgatorio. Guardarsi guardare è l’operazione su cui già lo stare dentro il mondo online ci ha fatto pensare.
Per finire passaggi su La Divina Commedia, Hey Girl, Mantica per ragionare sulla separazione dei percorsi e non solo all’interno della compagnia, ancora attraverso immagini e citazioni. Troppo per un post che già ha tagliato con l’accetta. E Silvia ha preso il treno più tardi. Per noi. Grazie.