Das Weinen (Das Wähnen) di Christoph Marthaler. Un dispositivo naturalista senza rappresentazione che rivela la metafora del nostro presente

Ph Gina Folly

Das Weinen (Das Wähnen) [Il Pianto (Il Pensiero)] è lo spettacolo del regista svizzero Christoph Marthaler, presentato in prima italiana al Teatro Arena del Sole di Bologna.

Il lavoro si basa sulla messa in scena dei testi contenuti nel libro Das Weinen. Das Wähnen (Tränenmeer 4) (Weeping. Imagining Sea of tears 4) regalato a Marthaler dal suo autore, l’artista visivo, poeta e scrittore Dieter Roth, alla fine degli anni Ottanta.

Das Weinen (Das Wähnen) è il risultato di un match interessantissimo fra due figure simili sul piano della concezione artistica. Se infatti Dieter Roth è conosciuto come uno sperimentatore interessato alla processualità creativa e allo sviluppo dei formati seriali (fra le altre cose, ad esempio, è stato in contatto con realtà artistiche delle neo-avanguardie come Fluxus), all’uso di nuove tecniche e materiali (sia nel senso della materialità del quotidiano come pasta, muffe, cioccolata, sia nel senso della ricerca sull’uso dei materiali tecno-visivi come proiettori, monitor, videocassette), alla creazione di libri d’artista intesi come libri-oggetto, poesie intrecciate con i disegni verso nuovi formati narrativi e pittorici, Christoph Marthaler è compositore e regista conosciuto per un teatro musicale e documentario senza testo, per la creazione di spettacoli iconoclastici, sarcastici, che disvelano i luoghi comuni e gli aspetti risibili dell’universo piccolo-borghese (basti pensare, ad esempio, a Groundings spettacolo di denuncia politica del 2003 dedicato alla Svizzera contemporanea).  

Ph Gina Folly

Con Das Weinen (Das Wähnen) Marthaler lavora dunque sull’opera scritta di Roth, che si basa su creazioni linguistiche – prevalentemente in tedesco ma anche in inglese, francese e italiano – senza significato. Partiture sonore, a volte ripetute e intercalate con momenti musicali, cantati, ritmati dagli oggetti e dai movimenti delle bravissime performer e dal performer in scena e dagli oggetti-recitanti (come il dispenser dell’acqua) che sono fra le trovate più divertenti dello spettacolo.

L’azione si svolge in una farmacia in cui succedono cose che non vanno interpretate ma accolte nella forma che Marthaler costruisce con le parole, le assonanze linguistiche e le sonorità delle lingue parlate e cantate in scena. Ed è proprio in un dispositivo che crea il cortocircuito tra la scenografia naturalista, della farmacia con i suoi scaffali, banconi, cassetti e medicinali, e l’assoluta anti-rappresentabilità del testo che va vista la potenza – anche intrattenete – di questo lavoro.

Ph Gina Folly

Nella scena finale l’attore in tunica bianca trasporta a fatica la croce al neon che è sì l’insegna della farmacia ma è anche un richiamo alla via crucis. Un’ultima puntata ironica che però fa venire un dubbio, porta a fare un collegamento fra la lettura di un bugiardino sconclusionato e contraddittorio su cui abbiamo riso poco prima e le medicine scalzate fuori dagli scaffali dalle “farmaciste” in una delle scene conclusive. Che sia una metafora di questi nostri tempi insensati, dove la malattia e la cura, i farmaci e la fiducia o meno che vi riponiamo sono una parte ormai onnipresente della nostra quotidiana via crucis?

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