Per un teatro instabile. Il De Bello Gallico – enklave Rimini di Paci Dalò/Giardini Pensili intanto apre le porte

Sono almeno un paio le prospettive da cui poter dar conto dell’evento De Bello Gallico – enklave rimini realizzato il 31 ottobre e il primo novembre 2011 a Rimini. La prima riguarda la riapertura spot del Teatro Galli, bombardato e mai ricostruito, e quindi l’occasione di entrare in un posto che da noi è ancora bersaglio di molte polemiche.

La seconda prospettiva rimanda invece alla performance site-specific di Roberto Paci Dalò con Giardini Pensili pensata e concretizzata come “un’anamorfosi scenica per voce, clavicembalo e live electronics” in uno spazio irripetibile, quello del teatro-cantiere appunto, vera e propria macchina del tempo e, più ancora, dispositivo per uno sguardo sul tempo anzi sui tempi stratificati che anche da inesperti cogliamo negli scavi archeologici.

Citando le sue parole, Roberto Paci Dalò costuisce una piccola opera popolare non senza una sua complessità da cogliere, guarda caso, per strati. A cominciare dal pretesto drammaturgico dell’Enklave Rimini, di cui penso che in moltissimi oltre a me non ne sapessero assolutamente niente, cioè di quel particolare campo di prigionia per soldati e ufficiali dell’esercito tedesco diventato laboratorio di denazificazione con università, giornali, cinema, compagnie teatrali, orchestre… da cui se non ho capito male una partitura ritrovata fa nascere la parte musicale dello spettacolo che poi si compone di diverse evocazioni, da John Dowland ai Coil come opera barocca di cembalo, voce, elettronica.

Il video live e le immagini – di edifici, di soldati, del pubblico del vecchio teatro – caratterizzano lo spettacolo nel suo insieme nei termini della media-performance cioè in un tipo di spettacolo in cui l’estetica dell’immagine digitale contribuisce a ridefinire e ricombinare in maniera dinamica lo spazio scenico e che può far conto su una tradizione ormai consolidata e riconoscibile dal pubblico anche meno abituato alla ricerca. Popolare, appunto.

Una mappatura dinamica dello spazio, che in questo caso è anche spazio pubblico, che può fare da metafora utile all’idea di un teatro instabile, dalle parole del sindaco Gnassi, al posto di una vecchia, cioè moderna, idea del teatro stabile come luogo di incontro per un tipo di cittadinanza, quella borghese novecentesca, alla quale non abbiamo più bisogno di appartenere.

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