Una poesia per la catastrofe e i territori dell’immaginario

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Ho scoperto ascoltando Pagina Tre e Nicola Lagioia durante la giornata della poesia i versi di Quando dico Hiroshima di Kurihara Sadako (anche qui) (letti dalla giornalista Junko Terao), e il genere letterario giapponese genbaku bungaku, ossia un campo della produzione simbolica incentrato sulla tematica della bomba atomica e che per logica conseguenza può essere esteso al caso tragico e recente di Fukushima.

Il genere che è articolato al suo interno come succede ad esempio per manga e anime differenziati sulla base del pubblico a cui si rivolgono, non solo qualifica l’efficacia simbolica dell’immaginario, campo di elaborazione dell’evento drammatico e catastrofico, ma diventa anche luogo della riflessività sociale, finanche di critica politica, anche interna, verso le proprie responsabilità.

Quando dici Hiroshima

 credi forse ti risponderanno dolcemente

“Ah, Hiroshima”?

Hiroshima – Pearl Harbour

Hiroshima – lo stupro di Nanchino

Hiroshima – i roghi a Manila,

donne e bambini bruciati con la benzina

e gettati nelle fosse.

Se dici Hiroshima,

risuonano echi di fiamme e sangue.

[…]

Se dici Hiroshima,

affinché giunga il dolce rimando

“Ah, Hiroshima”

noi dovremmo prima lavare le nostre mani sporche.

Parallelamente al carattere situato dell’immaginario della bomba atomica, del nucleare si associano le paure collettive dell’Occidente che in qualche modo vi si correlano e che chiamano in causa un diverso tipo di esorcismo, quello delle seconde Avanguardie artistiche, basato su forme artistiche e culturali che hanno cercato di fare i conti con gli effetti perversi dello sviluppo tecnologico.

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