La storia che serve oggi. Aldo Morto/Tragedia e il teatro saggistico di Daniele Timpano

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È sempre interessante vedere come il teatro, e in particolare un testo e la sua resa drammaturgica, si confronti con i fatti. Tanto più quando si tratta di fatti storici e di conseguenza dei protagonisti delle vicende nazionali. In questo senso diventa particolarmente chiara la connotazione situata dell’immaginario collettivo, ossia del patrimonio di simboli condivisi che, nonostante la loro universalità, riguardano più direttamente una collettività geograficamente definita.

A fare i conti con i fatti e i personaggi d’Italia questa volta è Daniele Timpano – nato nel 1974 esponente del teatro indipendente romano e con una significativa bio artistica da leggere qui – con la trilogia Dux in scatola, Risorgimento Pop, Aldo Morto (con i testi pubblicati in Storia cadaverica d’Italia a cura di G. Graziani per Titivillus).

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foto di Claudia Papini

Con Aldo Morto/Tragedia – visto domenica 17 febbraio 2013 al Teatro Rosaspina di Montescudo – Timpano prende spunto dal dramma sociale del rapimento Moro e del ritrovamento del cadavere il 9 maggio 1978 e ne ricostruisce i passaggi attraverso lo sguardo di chi, troppo piccolo per avere ricordi di prima mano, si affida alla memoria sociale cioè ai media (tra cui ci stanno naturalmente anche i libri) e alla loro riflessività.

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foto di Donato Aquaro

E proprio perché i media costruscono l’informazione attraverso l’osservazione di osservazioni e in base ai propri criteri selettivi, così il modo con cui Timpano ci restituisce la sua può essere visto come la sintesi di un essere pensante – e quindi produttore autonomo di informazioni – di una serie di immagini e discorsi che nel tempo si sono prodotti intorno a quegli avvenimenti.

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foto di Futura Tittaferrante

Dai documentari a tesi, alle inchieste di Minoli, al film di Bellocchio, passando per Renato Curcio e Adriana Faranda fino alle canzoni di Claudio Lolli, evocando i luoghi, Via Fani e via Gaetani ad esempio, e le cose, la Renault 4 rossa – che appare in scena come macchinina radiocomandata – lo spaccato che viene presentato mette in evidenza le contraddizioni e i lati oscuri di una politica che ha fatto certe scelte sostenuta da una certa stampa o di un Curcio editore, mascherato da Mazinga che si è comunque piegato alla logica del profitto prima così duramente avversata…

ALDO MORTO Foto di Claudia Papini

foto di Claudia Papini

Sta di fatto che – come ci ha spiegato lo stesso Timpano durante l’incontro dopo lo spettacolo – il lavoro sui materiali, che lui chiama mono maniacale ma che piuttosto pare basata su un lavoro di approfondimento notevole, compone una storiografia complessa per fonti – dai testi storici, biografici più o meno parziali, alle canzoni, i film, la tv, ecc. – e per temi che tende a rivolgersi non tanto al passato ma all’oggi e al presente che abitiamo.

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Lo spettacolo è costruito per “quadri” e personaggi interpretati da Timpano che entra ed esce dalle parti interpretate e dalle prospettive di osservazione che incarnano, a cominciare dal figlio di Moro, senza scordare mai la forma di uno spettacolo assolutamente teatrale. E ci riesce perché oscillando sempre sulla differenza fra vissuto e rappresentato si pone dichiaratamente fuori dal teatro di narrazione o civile senza avere la pretesa di spiegare le cose “oggettivamente” ma di fornirne un punto di vista, il suo, e una traccia buona per pensare. A questo proposito e per molto altro vale la pena leggere le recensioni raccolte qui.

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foto di Michele Tomaiuoli

È su questo spunto che chiediamo a Timpano a cosa serva il teatro. Il suo, ci risponde, può essere considerato un teatro saggistico e politico, refrattario alle logiche dell’industria culturale. Ma ripensando a tutto lo spettacolo torna in mente anche il movente che sempre sottende alle produzioni dell’immaginario: la morte e i modi con cui la elaboriamo. Qui infatti è sempre il corpo morto di Aldo, e il suo essere stato corpo vivo, a tornare. Simbolo di quel dato di umanità che ci accomuna tutti.